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on the way to the club (lugano07)
Ennesimo scorcio del lago di Lugano. Perché Lugano è così. Non che il centro non meriti, però c'è quella calamita enorme e liquida che punta verso monti e paesaggi così lontani e così vicini.
Così, ragionandoci un po' sopra, si ottiene un paradosso a cui s'aggiunge un altro paradosso.
Il primo paradosso è che nelle mie foto in linea di massima non c'è mai figura umana. Figura umana visibile, almeno. Perché in realtà in tutte le foto una presenza evidente e necessaria c'è per forza: quella dell'omino dietro la macchina fotografica (cioè io) che ha fatto fisicamente la foto.
L'altro paradosso è invece che queste non sono foto di Lugano. Se non in minima parte.
In fondo, quelle montagne, quelle sponde, quei boschi non stanno a Lugano, stanno di fronte a Lugano. In una foto, ad esempio, si vede Campione d'Italia, che tecnicamente non è neppure in Svizzera.
Insomma, la domanda di stasera è: ma qual'è il l'approccio “spaziale” che dobbiamo avere con una foto?
In una foto di paesaggio, qual'è l'ago della pseudo-bilancia? È più importante sottolineare che per scattare quella foto si è dovuti andare in quel posto specifico o è più importante sottolineare il risultato di quello sguardo, cioè il soggetto della foto stessa?
Questa serie è nominata in maniera corretta col suffisso “lugano” o sarebbe stato più corretto nominarla con un suffisso come “davanti a lugano”?
Vabbè, lo so, forse non è importante un ragionamento di questo tipo.
Però più vado avanti a fotografare, più mi accorgo che la fotografia è in realtà il linguaggio dell'assenza: sulla pellicola c'è fissato uno sguardo, un cono ottico più o meno largo in un brevissimo momento, una frazione di secondo. Praticamente nulla.
E tutto il resto? Dove lo mettiamo?
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