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  • human against machine

    shared by asgaroth on 2011-03-15

    the little girl is my best friend Ribbon. http://storiediunanana.blogspot.com/

  • some strange

    shared by asgaroth on 2011-04-30

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  • i saved the world today (gravina_holga01)

    shared by juri_kid_a on 2010-05-09

  • di passaggio (milano24)

    shared by juri_kid_a on 2010-05-15

  • pyramid song (parcosempione09)

    shared by juri_kid_a on 2010-12-28

    Qualche volta succede come con la sabbia: ne hai in mano una bella manciata, poi però, a poco a poco, questa s'insinua tra le pieghe delle dita e scivola via. Magari ti soffermi pure su quel soffio di granelli che ti escono dal pugno. Poi, quando apri la mano, scopri che non è rimasto quasi nulla. A volte ho la percezione che stia avvenendo proprio questa cosa, con alcune persone. Penso che di sabbia ne ho lasciata andare parecchia e che forse domani non me ne rimarrà più. Così guarderò quella persona un po' da lontano. Per non disturbarla. E penserò a tutto quello che ho perso, che ho lasciato andare. Ma non sarò triste o dispiaciuto o affranto. Fatalista come sono mi ripeterò che era così che doveva andare. Egoista come sono mi ripeterò che in fondo, questa persona, poteva anche mettere le sue mani sotto le mie, per raccogliere la sabbia che perdevo.

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  • every you every me (bussana01)

    shared by juri_kid_a on 2011-03-01

    Nell'attesa delle foto di Padova, cominciamo col dittico ligure di Bussana Vecchia e Triora. Questa l'ho fatta a Bussana. Un panno rosso steso al sole ad asciugare. Basta. Questo luogo si trova praticamente tra Arma di Taggia e Sanremo ed è un borgo che in seguito ad un terremoto nell'800 era stato abbandonato. Poi nel secondo dopoguerra alcuni artisti lo hanno eletto come loro residenza, hanno ristrutturato un po' dei ruderi, ci hanno aperto qualche ristorante, qualche bar e soprattutto ci hanno piazzato i loro atelier. Effettivamente è un posto molto particolare, con i resti della chiesa scoperchiata e gli stretti vicoli con gli archi che stampellano le case. Arrivarci da Milano è un bel giro, non mi ero mai spinto così a ponente e ho potuto constatare che la Liguria è una regione piuttosto lunga. In autostrada non passava più. Ma poi ci si arriva e si viene effettivamente ricompensati dalla particolarità del luogo. Così ho deciso di partire da una bella tovaglia rossa che prendeva il sole di febbraio. Quel giorno il tempo era davvero bello. In cielo non c'era mezza nuvola. Al sole si stava bene, ma all'ombra faceva freddo: il sole di febbraio non scalda, è ancora debole, invernale. In fondo è solo una tovaglia rossa al sole. Ma non so perché, stasera mi è sembrata l'immagine più adatta a ricordami Bussana. Ma forse è solo colpa del cielo senza nuvole di quel giorno. Anche se una canzone diceva “le nuvole non hanno mai paura”. Chissà se è vero. Chissà se le nuvole non hanno mai paura anche quando non ci sono. E chissà dove vanno le nuvole quando non ci sono? Secondo me, quel giorno, s'erano nascoste dietro quella tovaglia rossa.

  • born free (triora01)

    shared by juri_kid_a on 2011-03-03

    Dopo Bussana, Triora. Paese incastrato in valle Argentina, il paese delle streghe. Il cartello informativi in una specie di grotta (poco più di una nicchia, comunque) con tanto di manichino della strega e oggetti vari dice che Triora è un po' la Salem italiana. O meglio, dato che lì i fatti sono avvenuti precedentemente, Salem è un po' la Triora americana. Vabbè. In questi giorni sto un po' riflettendo su quanto il mio pessimismo influenzi le mie azioni. Anzi, meglio, sto riflettendo su come praticamente tutto non va mai come io desideri. E di come ne tragga frustrazione. Il problema è che poi quando (raramente) le cose vanno come voglio, mi ritrovo a maledire le mie volontà, a negare anche spudoratamente i miei desideri e a trarre altra frustrazione. È sempre così. Quando confido in qualcosa c'è sempre questa entità inafferrabile e volatile che congiura contro le mie speranze. E tuttavia nel momento precedente, quello della speranza appunto, ho la perenne certezza che quell'entità stia lavorando contro di me, in un modo o nell'altro. Nell'altro, significa, come dicevo, che quell'entità potrebbe decidere di dare concessione alle mie speranze. Eppure, anche lì, c'è sempre quella certezza che le mie speranze, così rosee, porteranno inevitabilmente alla loro ritorsione rispetto a colui che le ha formulate. La mia incapacità di riuscire a gestire il successo dei miei desideri, lo dico chiaramente, mi provoca un senso d'inferiorità enorme nei confronti di tutto e tutti. Ebbene sì, io vi sono inferiore. Perché ciò che voglio, ciò cui ambisco, è ciò che mi porterà al fallimento. Perché i miei desideri sono semplicemente sbagliati. Perché io sono la persona sbagliata per quei desideri. Perché voi avete speranze ed ambizioni che vi permetteranno successo e felicità mentre io sono destinato all'esatto opposto per mia stessa volontà. Perché quando intravedo il successo, intravedo anche la sua ombra: il fallimento, che sta li come un fantasma, pronto ad entrare in azione al momento opportuno. Quantomeno dalla mia parte, ho il fattore tempo. Giorno dopo giorno cerco di lasciare sempre qualcosa. Cerco di smettere di sperare, di illudermi. Su alcuni argomenti sono diventato anche abbastanza bravo. Ma è difficile. Perché desiderare qualcosa è facile. Quasi non te ne accorgi. Le speranze s'insinuano tra le pieghe dei pensieri. Magari sono solo dei lampi. Che però poi, piano piano, diventano luci accecanti. Finché il contatto con la realtà le fa sparire miseramente lasciandoti più al buio di prima. Sono convinto che la vera felicità si possa raggiungere vivendo davvero giorno per giorno. Non avendo memoria del passato e senza interesse per il futuro. Certo che quando t'insegnano ad avere desideri sin da piccolo è praticamente impossibile disintossicarsi. Io infatti sto fallendo anche in quello.

  • narc (bussana03)

    shared by juri_kid_a on 2011-03-06

    Domenica. Voi sapete quanto io non ami particolarmente questo giorno della settimana. Anche settimana scorsa, ero a Padova, in piazza della Frutta. Pioveva. E per un attimo l'ho sentito anche lì: era quel nulla, quel niente che puoi percepire la domenica subito dopo pranzo. Quel niente che ti ricorda che il tuo tempo di fancazzismo e rilassatezza sta finendo. E tu non puoi fare niente per evitarlo. Ma oggi invece è stata una bella domenica. Oggi incredibilmente mi sono sentito in pace con me stesso e col mondo attorno. Oggi la domenica s'è fatta amare, apprezzare. E m'accompagna dolcemente verso il lunedì, senza strattoni o spettri che s'avviano all'orizzonte. Sveglia alle 10 (ecco, forse questa l'unica pecca. Avrei preferito svegliarmi un po' prima, verso le 9, le 9 e mezza, il mio corpo s'indolenzisce se poltrisco fino a tardi a letto e svegliarmi presto m'aiuta ad affrontare meglio le giornate di weekend). Poi giro a Milano. Visita alla casa-museo Boschi – Di Stefano. Una splendida dimora veramente e autenticamente milanese. Piazzata dietro corso Buenos Aires è molto meno appariscente di Villa Necchi, che se ne sta li vicino. È una casa più di sostanza, più cittadina, più adatta alla vita milanese. Con i suoi tocchi di classe nei dettagli, negli arredi e con la sua splendida collezione di quadri. Dopo il giro museo, un brunch sempre in Porta Venezia a base di cibo giapponese e cinese. Per una volta ho deciso di non ingozzarmi. Moderazione, mi sono detto. E ho fatto bene. Mangiato bene, alzato sazio ma non pieno, mi sono goduto la passeggiata con Diana versione instant al seguito. Caffè alla caffetteria di Villa Necchi. Dieci minuti a rilassarsi a bordo piscina e poi via a fare shopping. Niente vestiti. Molto meglio. Libri. Stazione Centrale, Feltrinelli, uno dei miei nuovi luoghi preferiti di Milano. Non fosse altro perché, insomma, tre piani di libreria fanno la loro porca figura. Volevo comprare tre libri. Sapevo che uno sarebbe dovuto essere per forza di Truman Capote, perché dopo aver letto “A sangue freddo”, devo, necessariamente, leggere anche altro. Il buon Truman mi ha decisamente conquistato. Vicino a Capote, dato l'ordine alfabetico, spuntava Céline. Preso anche lui. A quel punto ho detto: tre libri. E anche il terzo avrà un autore che comincia per C. Nascosto, piccolo, timido, umile, c'era Piero Chiara. Di suo ne ho già letto uno, da cui poi hanno tratto un film con Tognazzi. Preso. Tornato a casa, dopo la doccia, mi sono pure goduto quel breve momento di nudità, asciutto, seduto sul letto poco prima di infilarmi mutande e calzini. Forse basta davvero poco per sentirsi felici. Almeno per qualche attimo.

  • rimini (bussana05)

    shared by juri_kid_a on 2011-03-12

    Rimini solo perché stavo ascoltando la canzone di De André. Qui siamo sempre a Bussana Vecchia, in Liguria. Siamo sempre in quel piccolo dedalo di viottoline strette e scure, con questi stacchi di ombre e tagli di luce che piombano dall'alto. Comunque io a Rimini non ci sono mai stato. Anzi no, sono stato alla stazione di Rimini, ma ero diretto a Riccione, solo qualche minuto per prendere un taxi. Ogni tanto, la sera, a letto, quando non riesco a dormire, faccio mente locale in tutti i posti in cui ho dormito. O meglio, cerco di ricordarmi tutti i letti in cui ho dormito, la loro disposizione spaziale all'interno della camera, cosa avevo davanti e in fianco al letto. Non so se me li ricordo tutti, quelli di quando ero piccolo piccolo, ad esempio, no, ma una gran parte sì. Quindi, per esempio, in Emilia Romagna ho dormito a Riccione (in due occasioni diverse) e a Igea Marina. Quest'ultima è quella nel tempo più fresca, un hotel vista mare con camera sul fianco. Indietro, tra le mie foto, c'è la vista dal balconcino. Quella sera, per cena, prendemmo una piadina sul lungomare. Mi pare di ricordare che la signora che ce l'aveva servita non era italiana, sicuramente nordica, vista l'età, probabilmente, una ex-turista che tanto tempo addietro s'era innamorata e aveva spostato uno del posto. Di Igea ricordo anche la spiaggia non particolarmente profonda e un po' stretta. A Riccione sono stato entrambe le volte a casa di un mio amico. La casa, una villetta classica a due passi da tutto (dalla stazione, dal mare e da viale Ceccarini), col suo giardinetto attorno era molto bella e molto grande. Mi ricordo la gelateria che faceva angolo proprio con viale Ceccarini: lo scontrino al tavolo veniva portato all'interno di una specie di bustina di cartoncino di modo che non si vedesse. Ricordo piadine mangiate per pranzo sui gradini della casa, pizze per cena e pure che siamo andati da “Bombo (credo)” a prendere una delle sue celeberrime brioche. Se penso a Riccione, paradossalmente, dato che ci sono stato entrambe le volte fuori stagione, e data l'ambientazione della casa (intanto che ci ripenso mi ricordo anche la via, dopo vado su Google Maps), mi ritorna una grande atmosfera di tranquillità e rilassatezza. Sarà che oggi è tornato il freddo, che il cielo è grigio e che mi sento molto pigro, una canzone mi ha fatto ricordare di piadine e di un tramonto d'agosto su un lungomare. Adesso vorrei solo sparire dolcemente in mezzo a quei ricordi.

  • meds (consonnoholga01)

    shared by juri_kid_a on 2011-03-17

    Vai con un po' di Lomo. Questa è sempre Consonno vista con la mia Holga. Come potete notare sopra e sotto la foto si sovrappone con quella precedente e successiva questo perché ho cambiato la mascherina interna. Ma la cosa non mi spiace affatto comunque eh.

  • Sovrapposto 02

    shared by juri_kid_a on 2011-03-17

    Secondo l'assistente del mio fotografo che ha sviluppato il rullino, questa foto sarebbe un errore. Vabbè che sei abituata a stampare foto di matrimoni e vacanze al mare, però credo che tu sappia cos'è una doppia esposizione, spero.

  • leif erikson (bussana08)

    shared by juri_kid_a on 2011-03-20

    La pubblica rivelazione di oggi è che mia madre ha dei gusti orribili. Ci pensavo poco fa, quando in bagno ho buttato l'occhio sullo scovolino: un affare totalmente in plastica con all'interno dell'acqua colorata blu e, nel pomello del manico, dei pesci di plastica arancioni che nuotano (...galleggiano?) tristemente. Da vedere le vetrinette dei soprammobili in soggiorno e la mensola sopra il caminetto: delle autentiche “mini-wunderkammer” in salsa kitsch. Qualche esempio? Non so quante statuette di angioletti in mille pose e materiali diversi. Da quello intento a cantare con la bocca aperta tutto in ceramica colorata a quello nudo, sdraiato su un fianco e coloratissimo in plastica a uno piuttosto grosso tutto dorato. Tutte statuette che poi sotto natale vengono inserite nel presepe che immancabilmente si prepara sopra il mobile grande. Poi, vasi per tutti i gusti. Stile etnico? Ce l'abbiamo. Finto stile Luigi XV? Abbiamo anche quello. Classico vaso grandissimo in vetro semi-trasparente per fiori? E vuoi non averlo? Vaso basso in terracotta con decorazioni a sbalzo ottimo per composizioni di fiori finti? Sta qua. Non ci facciamo mancare nulla purché ovviamente sia tutto francamente orribile. Poi, in conseguenza dei vasi, fiori finti a gò-gò. Li puoi trovare in ogni parte della casa: soggiorno, sulle scale, nella camera matrimoniale, in taverna. Ovunque e in tutti i modi e in tutte le forme, ma sempre con almeno due dita di polvere sopra. La cosa peggiore di tutto questo accumulo degli orrori è poi il fatto che per la gran parte, questi oggetti, sono tutti regali. Infatti la “giustificazione” preferita di mia madre nel mostrarli è “beh, forse è brutto ma è un regalo”. Ergo, se è un regalo, va necessariamente esposto. Si sa mai che il gentile regalante, venendo in visita ufficiale nella nostra dimora e non vedendo il suo dono esposto in bella vista s'offenda e decida di interrompere le relazioni diplomatiche con la nostra famiglia (e comunque sono mesi che non abbiamo ospiti...). Nella nostra mostra non mancano poi i grandi classici come il carretto siciliano con originali cavalli in plastica e conducente e passeggera con rossetto e mascara completamente fuori posto causa approssimativa coloritura industriale; statuine segnatempo comprate rigorosamente al mare raffiguranti non so io nemmeno che cosa. A onor del vero, manca la gondola di fantozziana memoria, ma giuro che se mi capita di andare a Venezia, la compro sicuramente. In fondo mi piace farmi del male. Sono sadico, ma sono anche masochista. E ancora, in ordine sparso: un paio di statuine di cani bassotti, tristi e abbacchiatissimi; ciclo di cinque galletti portoghesi uno più piccolo dell'altro; stelle marine e ippocampi seccati e infilati in un “cespuglio” di finto corallo, frutto di una mareggiata a Jesolo nei lontani anni '80; rami con all'interno una mina verde brillante o un pastello a cera comprati in gita a Bolzano; statuetta di vetro nero sbeccata dalle cadute raffigurante una sorta di leone marino (credo); statuine di un gallo e di un cavallo regalate dal ristorante cinese di fiducia (allora, i miei che sono nati lo stesso anno dovrebbero essere del cavallo, io del gallo. O viceversa); e via così. Il museo dei piccoli orrori di casa Meneghin è aperto praticamente sempre, ma solo su appuntamento. Accorrete numerosi, si accettano anche piccoli gruppi. Se lo desiderate, per completare l'esperienza orrorifica, potete restare a mangiare: la Sig.ra Meneghin provvederà a terrorizzare anche le vostre papille gustative con alcune sue specialità come il cappone lesso o il salmone con patate... un'esperienza per stomaci davvero forti (che io vivo quasi quotidianamente)!

  • just dropped in (padova01)

    shared by juri_kid_a on 2011-03-22

    E dalla Liguria si finisce in Veneto, a Padova. Che poi è il capoluogo d'origine di mio padre, che, come ebbi modo di scrivere, nacque in provincia, in un posto dimenticato da dio, visto il clima terrificante. Non avevo mai visto il centro storico di Padova così bene: quando ero piccolo magari s'andava qualche volta al “Santo” e ci ho fatto pure una gita alle superiori per vedere una mostra. Ma non mi ricordo assolutamente nulla di quel viaggetto. Invece questa volta me la sono goduta. Padova è proprio una bella città, non c'è che dire. Belle piazze, bel centro, bei portici, bello tutto. Ma la cosa che più ricordo della gita patavina è il cibo. Infatti, per puro culo, abbiamo trovato un ristorante dove abbiamo mangiato davvero bene. La tagliata di tonno che ho preso per secondo compare talvolta nei miei migliori sogni (ovviamente portata al tavolo, per esempio, da Emma Watson, che poi... vabbè.). Comunque al di là di tutto, credo che Padova abbia proprio una bella atmosfera. Anche qui siamo stati fortunati col tempo: una uggiosa domenica di febbraio, la mattina per fortuna ha tenuto. Le cateratte si sono aperte quando stavamo pranzando, ma nel pomeriggio, l'obbiettivo era di vedere una mostra a Palazzo Zabarella, per cui ci è andata bene. Città abbastanza vuota. La gente si mostrava soprattutto in zona Caffè Pedrocchi, ma Piazza della Frutta e Piazza delle Erbe erano praticamente deserte. L'impressione è che comunque i padovani se la sappiano godere, non per nulla il Pedrocchi è noto perché era sempre aperto. Mi è sembrata una città che sa prendersi i suoi spazi. Il centro non è stretto e tortuoso come, ad esempio, quello di Verona. Le piazze ci sono, sono parecchie e ce ne sono di molto grandi e sceniche. E ci sono anche un buon numero di strade dove camminare tranquillamente e fare lo struscio davanti ai negozi. Ho notato poi una certa rassomiglianza con Bologna. Tutte e due città universitarie, tutte e due con dei centri storici piuttosto grandi e tutte e due alquanto porticate (certo, Bologna di più, però anche Padova non sta messa male). Avevano un'atmosfera simile. L'autostrada che le collega forse non ha fatto altro che avvicinare ancora di più due città che mi sono sembrate cugine. Insomma, benché io tenda a rifuggire le mie radici padovane, devo dire che quella domenica, un po' a casa, mi ci sono sentito davvero.

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  • Igea Marina

    shared by juri_kid_a on 2011-03-22

    Vista dal balconcino dell'hotel che ci ha ospitati una notte a Igea Marina.

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  • sensibile (padova03)

    shared by juri_kid_a on 2011-03-27

    Prima questione del giorno: non riesco a ricordarmi in quale punto preciso di Padova io abbia scattato questa foto. Quindi: amici di Padova! Fatevi sotto e aiutate il povero Juri a mappare correttamente la foto in questione! Al primo che fornirà la mappatura corretta, un ringraziamento speciale in un post successivo (poi, se il primo in questione è donna, non troppo vecchia o troppo giovane, possibilmente piacente e gli piacciono i fotografi dilettanti con la barba e un po' di panza, possiamo valutare altre forme di ringraziamento. Vabbè...). Seconda questione del giorno: la mia decisione (ormai è quasi presa, infatti dopo manderò una mail alla mia consulente di blogging per valutare alcuni aspetti) di chiudere la parte di blog per destinarla a un luogo più anonimo in modo da poter parlar male di tutto e tutti, ha scatenato vibranti (vibranti? No, dai, solo moderate) proteste da parte di miei lettori abituali. Cari lettori abituali, credo che dobbiate accontentarvi delle foto, forse qualche post più lungo sporadicamente, ma vediamo come andrà la doppia gestione, se si rivelerà complicata e se porterà via più o meno tempo, comunque penso che sia giunta l'ora di lanciarsi in una nuova avventura (non appena avrò deciso tutti i dettagli, intanto Flickr continua). Ma voi siete liberi di scrivermi delle email strappalacrime dove tentate di convincermi di recedere da questo insano gesto (so che me le manderete sicuramente... Vabbè...). Terza questione del giorno: oggi sono andato in gita a Mantova! Tra un po', vedrete le foto (almeno le instant, per quelle a pellicola, come sempre, c'è l'attesa dello sviluppo e provino). Lo dico qui ufficialmente: Mantova è la mia città preferita in assoluto. Più di Genova addirittura. Mantova io la adoro, Mantova è bellissima. A Mantova si mangia bene e c'è un sacco di verde. Le case sono tutte belle e quando sarò vecchio mi ritirerò nella mia casa mantovana (che comprerò coi risparmi di una vita... Vabbè...). Stamattina, saranno state le 11:00, ero in Piazza delle Erbe: c'era un po' di gente, ma non tantissima; c'erano i camerieri che apparecchiavano i tavoli, c'erano i negozi, c'era qualche bancarella... per un attimo ho avuto la sensazione che quello fosse il posto più bello del mondo. E mi sa che lo era davvero.

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  • the fear (milano46)

    shared by juri_kid_a on 2011-04-10

    Io ho molta paura a dire tante cose. Ci sono cose che non dico mai. Che non voglio dire mai. Perché le parole sono importanti, quando sono sentite. (Quindi mi auto-assolvo per non aver commesso il fatto in occasione di espressioni quantomeno infuocate sparate fuori in qualche mio scazzo pesante, cioè occasioni in cui l'ira ottenebra le normali facoltà mentali. Chiamatela paraculaggine ma io mi auto-assolvo) Ci sono cose che ho paura a dire perché il “dire” le riporta a dimensioni umanamente misurabili, le rimpicciolisce, le banalizza. Mi spiego meglio (e per spiegarmi meglio devo fare un po' la secchia, abbiate pazienza). Prendiamo la bibbia, l'alfabeto ebraico e i testimoni di geova (no, non vi sto proponendo certe riviste come una signora ha tentato di fare stamattina davanti alla stazione, né sto esponendo le mie teorie religiose che potrei comunque snocciolare in tre parole tre) (vabbè, tre parole: dio non esiste. L'ho detto, su). Gli ebrei chiamano il loro dio Yahweh, i testimoni di geova sostengono, leggendo lo stesso testo, che dio si chiama geova. Perché accade ciò? Perché la bibbia (o perlomeno, l'antico testamento) è scritto senza vocali, perché l'alfabeto ebraico antico, almeno nei testi sacri, non prevedeva l'uso delle vocali. Quindi, quella parola “Yhwh”, può essere interpretata come Yahweh o anche come Yehowah, perché ognuno ci mette un po' le vocali che vuole. Questo perché per gli ebrei dio è talmente grande che ogni tentativo di riportarlo ad una dimensione umana è fondamentalmente una bestemmia. Quindi, il solo nominare compiutamente, leggendolo, il nome di dio è una bestemmia. Perché dio è talmente grande che non puoi nemmeno nominarlo, dio è oltre, dio è troppo avanti. Ecco, io capisco perfettamente questi teologi con la barba e la kippah (massì dai, lo zuccotto ebraico) che si sono preoccupati di non far pronunziare parole che riguardano cose troppo grandi. Perché anch'io mi preoccupo di non pronunciare certe sequenze di parole. Sequenze che esprimono cose, sentimenti, pensieri, che io mi porto dentro. Cose, sentimenti e pensieri che tante volte sono grandi (almeno nella mia scala dei valori) e che ho il terrore di rimpicciolire facendoli uscire dalle mie corde vocali. C'è chi mi dice che sono freddo, che sono freddo “dentro”. Vorrei fosse davvero così. Ma io non sono freddo, sono solo conscio del potere delle parole. Che dire certe cose magari ti rafforza, ma magari t'indebolisce. Che dire certe cose è bello ma è anche terribile. Onestamente, non so se dirò mai certe cose. Anche a costo di perdere mille occasioni. Spero che un giorno, chi si troverà di fronte a me capirà che non voglio digli quello che s'aspetta perché quello che ho dentro è tanto, forse anche troppo. Spero tanto che un mio silenzio possa davvero valere più di mille parole. PS: per tornare alla storia dell'alfabeto, poi sono arrivati quei razionalisti senza fantasia dei Greci che hanno detto: “eh ma che casino co' 'ste parole che uno non sa come leggerle, e mettiamo 'ste cazzo di vocali e semplifichiamo la vita al mondo, per Zeus”.

  • cose veloci (mantova04)

    shared by juri_kid_a on 2011-04-19

    Di questa foto di Mantova me ne ricordo perché era l'ora di pranzo e poco più avanti sulla via abbiamo trovato il ristorante che ci ha, appunto, ristorato. Ma soprattutto fa vedere che Mantova è una città d'acqua. D'altronde ha tre lati su quattro occupati da laghi sulle cui sponde, la domenica, i mantovani sono soliti andare in bicicletta, correre a piedi e fare delle gare di pesca (o quantomeno è quello che facevano la domenica che ci sono andato io). Questo invece è un canale che mette in comunicazione il lago superiore con quello inferiore (o viceversa) e che divide in due la città per la larghezza, anche se per un bel pezzo, in centro viaggia interrato. Comunque, quel giorno il canale l'abbiamo visto ben tre volte nel nostro andare avanti e indietro. Quando vado in giro a fare foto cerco di preparami al luogo che m'aspetta, di norma stampo una bella mappa presa direttamente da Google Maps (nel caso di Mantova avevo fatto una mappona attaccando con lo scotch tutti i vari fogli), che poi sul posto uso raramente. Infatti sono molto “situazionista”, nel senso che mi muovo più o meno a caso, solitamente mi regolo con una direzione di massima (“il centro è di là”) ma poi preferisco dare massimo sfogo alla camminata casuale. Ho notato che all'interno della casualità poi comunque si creano delle sorte di micro-percorsi o comunque di passaggi che più o meno casualmente si ripetono per portare a luoghi noti e definiti (una piazza, un monumento, un punto di riferimento) da cui far partire nuovi “tentativi” di itinerari. Camminando riesco ad avere un buon orientamento, è difficile che perda la direzione. Ma è un orientamento “soggettivo”, non cartesiano, pedonale, in prima persona. Infatti poi quando cerco di mappare le foto sulla cartina, tante volte finisco a mapparle a caso, perché mi risulta impossibile darmi un punto certo sulla cartina. A memoria le distanze si deformano, gli itinerari prendono il colore delle ore, gli angoli e le svolte non trovano mai corrispondenza con la cartografia, sono percorsi che passo dopo passo vengono metabolizzati, digeriti e che vanno così a creare l'immagine, la sensazione del luogo in questione. Ecco perché, almeno per me, diventa piuttosto complicato pensare di fotografare anche stando su una bicicletta. Ho bisogno di camminare, di percorrere, di addentrarmi passo dopo passo. Ho bisogno di sentire la base di un luogo, di capire i dislivelli, gli attraversamenti, gli spazi. Io devo entrare, devo sentire quello che sente chi quel luogo lo vive, odori, luci, ombre... solo il tempo della camminata, la possibilità di potersi guardare attorno, di fermarsi, la successione dei passi... solo questo ritmo, questa sequenza riescono a farmi diventare un tutt'uno con ciò che mi circonda.

  • useless (milano47)

    shared by juri_kid_a on 2011-04-24

    Dunque. Oggi è domenica. Incidentalmente è anche pasqua. E in quanto 24 aprile è anche e soprattutto il mio compleanno. Età simbolica, sono 30. Chissà se arriverò ai 31. Comunque. Scorcio di Corso di Porta Romana scattato qualche domenica fa all'ora di pranzo. Sapete che secondo me Corso di Porta Romana la domenica è uno dei posti più tristi di Milano? Non so perché ma l'immagine mentale che ho di quella via è quella di un sole fortissimo e tostissimo (deve essere tipo fine giugno o luglio), ombre nette ma tanta afa. Per strada nessuno. Silenzio. Non vola una mosca. È ora di pranzo o comunque il pranzo è appena finito ed essendo domenica, s'insinua quella malinconia post-prandiale che ti ricorda che l'ultimo giorno libero è entrato nella sua seconda parte, quella che lo porta verso la fine. Lungo i marciapiedi l'infilata dei negozi è completamente chiusa. Niente aperto. Non c'è nessuno. E io, in mezzo a quel nulla, sento che vorrei solo dissolvermi, evaporare, sparire nel nulla in mezzo a Corso di Porta Romana. Solo chiudere gli occhi ed evaporare, nient'altro. Perché voglio solo andare via da un luogo così triste. Anche se, a pensarci bene, io la domenica subito dopo il pranzo trovo un po' triste qualsiasi luogo sulla terra. Mi è venuta un'altra immagine mentale: il balcone della casa al mare di quando ero piccolo, a Jesolo. Quel balcone dà su una delle vie più trafficate, via Aquileia. In via Aquileia ho visto code e macchine ferme al sabato sera (macchine ferme e tendenzialmente pieni di tamarri che avevano come scopo quello di raggiungere le “rinomate” discoteche del Lido), ma anche via Aquileia ha il suo lato oscuro. Sempre in orario post-prandiale, ma un giorno in settimana di fine agosto. Nessuna macchina che passa. I posti auto davanti alla posta semivuoti. Era uno dei segnali della fine delle vacanze. Che altro carico di tristezza. L'assenza, uno stato diverso dall'essere solito. Il vuoto, quello occidentale. Il silenzio irreale. Perché tutte queste cose si condensano nei momenti terminato il pranzo? Perché questi minuti attirano tutte queste foglie di tristezza sul mondo e su di me?

  • deep down (milano48)

    shared by juri_kid_a on 2011-04-25

    “Cazzo Juri, oggi è pasquetta. Fai qualcosa cazzo. Non ti permetto di regredire totalmente allo stato larvale come hai fatto ieri e l'altro ieri!” Questo era quanto mi diceva la vocina nel mio cervello quando mi sono svegliato stamattina. Quindi, dato che questa vocina continuava a rompermi i cogl... ehm... continuava a risuonarmi nel cranio ho preso la decisione di prendere la macchina fotografica e andare a fare un giro in bicicletta. Ovviamente erano mesi che non prendevo la bici, quindi il risultato di ben 16 km (o perlomeno, questo è quello che sostiene Google Maps) è che mi ritrovo stanchissimo, con le cosce di marmo e le ginocchia doloranti. Comunque 'sto rullino l'ho portato a casa (credo, era la prima volta che usavo la Mamiya) e domani vediamo di trovare un'alternativa a quelli di Fcf, che i rullini persi se li sono evidentemente fumati. Così imparano. Tiè. Ma oggi era fondamentalmente giorno di festa, ergo, tutti (o quasi) a casa dal lavoro, ergo, era un po' come se fosse domenica, ergo, ho potuto “ammirare” tutta una serie di comportamenti sociali che disprezzo palesemente e di cui se un disgraziato giorno dovessi macchiarmene, vi autorizzo a spararmi alla tempia, come si fa coi manzi al macello. Tra i comportamenti in questione si segnala: portare a spasso il cane (specie se di piccola taglia e bianco) indossando una tuta; mangiare il gelato con la dolce metà seduti sulle panchine di plastica davanti alla gelateria; optare per un'uscita in bicicletta familiare allargata invitando anche i vicini e creando così degli sciami di bici, un po' grandi e un po' piccole e rosa che tendono a occupare tutta la carreggiata (in strade non particolarmente trafficate od in piste ciclabili) impedendo il sorpasso a chi (tipo me) non va a 0,5 km all'ora (e continuando a richiamare i bambini “Giovanna attenta che c'è la bici! Spostati!” quando poi chi sta più in mezzo alle balle in realtà è la madre, piantata con la sua tutona rosa al centro-sinistra dello spazio disponibile). Poi, basta. Tornato a casa ho apprezzato più del solito la doccia post-sforzo, veramente godibile, oggi. Domani invece, è martedì. Si torna a lavorare. E questa settimana devo ricordarmi di fare il mensile.

  • superafim (mantova01)

    shared by juri_kid_a on 2011-04-12

    Cominciamo con le poche foto della mia gita a Mantova. Sia benedetto colui che ha inventato la fotografia instant perché se non era per lui non avevo neanche queste. Ovviamente, ormai, do i miei rullini dispersi e mai più ritrovati. Da Fcf non ci sono news, quindi... A proposito, colleghi milanesi, se conoscete qualche fotografo che fa i provini a contatto per i 6x6 a Milano, fatemi sapere, che non vedo l'ora di non farmi vedere mai più in via Maestri Campionesi. Comunque, vorrà dire che dovrò tornare a Mantova per rifare le foto che non vedremo mai... Che dire della città di Virgilio. Anzitutto, come ho già scritto, io amo Mantova. Mantova è bellissima. Mantova è uno dei più bei posti del (mio) mondo. Soprattutto, Mantova è stata meta di svariate (due) gite nel corso della mia carriera scolastica. Ricordo la gita delle elementari dove praticamente tutti i maschi della classe tornarono a casa con una di quelle specie di molle che si spingono giù dai gradini e poi continuano a scendere da sole (quando ero piccolo ricordo che quella che avevo comprato era in metallo, quelle che vedo ora in commercio sono in plastica). Quando sono capitato a Palazzo Tè e ho visto la locomotiva a vapore che sta lì in mostra nel parchetto, improvvisamente, mi sono ricordato che l'avevo vista anche al tempo delle elementari: per un secondo sono tornato settenne. Settenne e forse un poco più felice. Non ricordo se anche alle medie ci fu pellegrinaggio mantovano, sicuramente però ci fu alle superiori dove, dato che in classe eravamo quattro gatti, avevamo potuto contare su una amica della professoressa di lettere e storia dell'Arte che ci aveva addirittura ospitato per pranzo e offerto cibo a volontà. Questa signora di mestiere disegnava campi da golf (che chic!) e aveva lo studio in una torre dei tempi dei Gonzaga che dava su piazza Sordello, per dire. Insomma, è chiaro che della città virgiliana non posso che parlarne bene. La trovo una città molto scenografica, proprio un bel posto. Bello anche esteticamente, un posto dove vivrei molto volentieri, dove, la domenica mattina, potrei passeggiare in qualche piazza, entrare in una pasticceria e comprare un po' di torta sbrisolona per il dopo pranzo. Io sono una persona tanto complicata. Qualche volta mi viene il dubbio che la felicità sia nelle cose più semplici, come tornare a casa con una torta appena sfornata.

  • compulsion (mantova03)

    shared by juri_kid_a on 2011-04-17

    Oggi è domenica, domani è lunedì e si torna a lavorare. Ieri, invece, era sabato e mi sono concesso l'annuale-ed-immancabile-giro-per-Milano a vedere un po' di fuffa del Fuorisalone. Posso dirlo? C'era poco o nulla. Sono tre anni che faccio con cognizione di causa l'annuale-e-immancabile-giro-per-Milano e sono tre anni che vedo più o meno sempre le stesse cose. Com'è che i mobilieri sono tre anni che hanno esposte sempre le stesse cucine, le stesse vasche da bagno, gli stessi lavandini, le stesse sedie da ufficio? Insomma, ditemi ogni quanti anni aggiornate il catalogo così magari io il sabato del Salone scappo mi tengo ben lontano dal capoluogo lombardo finché non c'è qualche effettiva novità. Anche se il lato positivo della faccenda c'è. Si possono vedere luoghi che normalmente sono vietati, tipo il palco del Teatro dell'Arte in Triennale, dove c'era la mostra di qualcuno che non mi ricordo chi fosse, con in più l'aggravante di un divieto di far foto che francamente mi faceva alquanto ridere. Voglio dire qualcosa a questo, boh, designer? artista? (e chi si ricorda cosa e chi fosse, appunto): caro mio se non vuoi che la gente faccia foto alle tue cazzatine fa' pagare il biglietto e la mostra falla nella cantina di casa tua; il luogo che tu occupavi con i tuoi manichini sarebbe stato molto meglio completamente vuoto e fotografabile, perché era quello la gente voleva fotografare mica le tue evitabili opere d'arte. Vabbè, comunque in Triennale qualcosa di buono c'era anche se, boh, io e chi m'accompagnava avevamo sempre questo odore di deja-vu che aleggiava nell'aria. Interessante potersi infilare in certi show-room braidensi non tanto per le cose esposte ma anche qui, per poter vedere luoghi che solitamente non si vedono, tipo certi piani -1 con volte a botte basse-basse o cortili con viste inaspettate (tipo balconi lussureggianti di flora o più domesticamente i panni stesi ad asciugare. Perché anche in zona Brera fanno il bucato). Poi basta. Ho sonno, sono stanco e voglio andare a dormire. Basta.

  • on the water

    shared by aanum on 2011-04-16

  • curved lines

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  • the_national

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    Test roll of Impossible's wonderful new PX 680 Beta film made available to Pioneers. Loving this film already.

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  • thonet

    shared by werriston on 2011-04-14

    Test roll of Impossible's wonderful new PX 680 Beta film made available to Pioneers. Loving this film already.

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