cose veloci (mantova04)

Di questa foto di Mantova me ne ricordo perché era l'ora di pranzo e poco più avanti sulla via abbiamo trovato il ristorante che ci ha, appunto, ristorato.
Ma soprattutto fa vedere che Mantova è una città d'acqua. D'altronde ha tre lati su quattro occupati da laghi sulle cui sponde, la domenica, i mantovani sono soliti andare in bicicletta, correre a piedi e fare delle gare di pesca (o quantomeno è quello che facevano la domenica che ci sono andato io).
Questo invece è un canale che mette in comunicazione il lago superiore con quello inferiore (o viceversa) e che divide in due la città per la larghezza, anche se per un bel pezzo, in centro viaggia interrato. Comunque, quel giorno il canale l'abbiamo visto ben tre volte nel nostro andare avanti e indietro.
Quando vado in giro a fare foto cerco di preparami al luogo che m'aspetta, di norma stampo una bella mappa presa direttamente da Google Maps (nel caso di Mantova avevo fatto una mappona attaccando con lo scotch tutti i vari fogli), che poi sul posto uso raramente. Infatti sono molto “situazionista”, nel senso che mi muovo più o meno a caso, solitamente mi regolo con una direzione di massima (“il centro è di là”) ma poi preferisco dare massimo sfogo alla camminata casuale.
Ho notato che all'interno della casualità poi comunque si creano delle sorte di micro-percorsi o comunque di passaggi che più o meno casualmente si ripetono per portare a luoghi noti e definiti (una piazza, un monumento, un punto di riferimento) da cui far partire nuovi “tentativi” di itinerari.
Camminando riesco ad avere un buon orientamento, è difficile che perda la direzione. Ma è un orientamento “soggettivo”, non cartesiano, pedonale, in prima persona. Infatti poi quando cerco di mappare le foto sulla cartina, tante volte finisco a mapparle a caso, perché mi risulta impossibile darmi un punto certo sulla cartina. A memoria le distanze si deformano, gli itinerari prendono il colore delle ore, gli angoli e le svolte non trovano mai corrispondenza con la cartografia, sono percorsi che passo dopo passo vengono metabolizzati, digeriti e che vanno così a creare l'immagine, la sensazione del luogo in questione.
Ecco perché, almeno per me, diventa piuttosto complicato pensare di fotografare anche stando su una bicicletta. Ho bisogno di camminare, di percorrere, di addentrarmi passo dopo passo. Ho bisogno di sentire la base di un luogo, di capire i dislivelli, gli attraversamenti, gli spazi. Io devo entrare, devo sentire quello che sente chi quel luogo lo vive, odori, luci, ombre... solo il tempo della camminata, la possibilità di potersi guardare attorno, di fermarsi, la successione dei passi... solo questo ritmo, questa sequenza riescono a farmi diventare un tutt'uno con ciò che mi circonda.

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